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LA POLARIZZAZIONE SIRIANA: TRA ACCELERAZIONI E FRENATE DI UNA TRANSIZIONE CHE NON FERMA GLI SPARGIMENTI DI SANGUE

08 Ago 2025

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Il governo di Damasco ha istituito una nuova commissione di inchiesta per i massacri compiuti nelle ultime settimane di luglio nella provincia meridionale di Sweyda, il cessate il fuoco regge seppur si registrino ancora episodi di violenza e tensione, mentre la città resta pressoché isolata, senza corrente elettrica e con i mercati vuoti. Una piccola parte delle almeno 100.000 persone sfollate interne di questa nuova ondata di violenza sono tornate alle loro case e la sfiducia tra il governo centrale e la popolazione locale cresce. Dopo i risultati dell’analoga commissione d’inchiesta sui massacri di marzo nella zona costiera, che sono stati considerati insufficienti da alcuni attori nazionali ed internazionali, la popolazione di Sweyda ha chiesto con manifestazioni di piazza una supervisione internazionale per l’inchiesta, a garanzia della sua indipendenza e perché siano chiarite anche le responsabilità delle autorità di Damasco in modo trasparente.

A 8 mesi dalla caduta di Assad le parole paura ed euforia sono sempre quelle più utili a descrivere il panorama siriano, anche se ora la paura sembra prevalere.

Se il crescente riconoscimento internazionale, l’allentarsi delle sanzioni internazionali, i grandi accordi economici con i paesi del Golfo ed una stabilità relativa in larga parte del paese alimentano il consenso per il leader siriano Ahmad Al Sharaa, è sicuramente paura quella che si diffonde tra le “minoranze”, dopo i fatti della costa del marzo scorso con oltre 1.400 morti accertate ed i massacri di Sweyda. Poi c’è la paura che riguarda una grande maggioranza della popolazione, trasversale alle comunità, quella che un intervento esterno riaccenda la miccia della guerra, una paura diventata terribilmente concreta dopo il bombardamento di Israele che ha colpito il Ministero della Difesa e lambito il Palazzo presidenziale, teoricamente proprio per proteggere Sweyda. La paura è che la transizione politica possa fallire, e si torni in uno stato di caos che dopo 14 anni si pensava fosse alle spalle.

Si assiste ad una fortissima polarizzazione nell’opinione pubblica e nel dibattito: sui social vediamo scorrere fiumi di veleno e parole infuocate, l’odio settario si è fatto più acuto, il tutto alimentato da un fiume incontrollato di notizie false o ingannevoli. I 50 anni di stato di polizia e culto della personalità imposti dal vecchio regime si manifestano anche dopo la sua caduta, nelle menti che quel regime ha educato e su cui ha influito imponendo la cultura del sospetto e della prevaricazione.

Ne è un esempio la nascita nelle Università di gruppi Telegram, con liste di proscrizione per studenti drusi i cui passati vengono esplorati in cerca di segnali del leader druso Hikmat al-Hajri, e quindi di Israele. La risposta a queste campagne d’odio la si vede nei cartelli di solidarietà alla popolazione civile di Sweyda diffusi in molte città o iniziative come quella dell’organizzazione degli studenti che ha risposto proponendo una Carta studentesca inclusiva che, oltre a ragionare dell’inclusione su base etnica, affronta il tema della libertà accademica e dell’uso dello spazio universitario per fare attivismo politico (Carta dell'Università del Movimento degli studenti - link in arabo).

Manifestazioni di solidarietà si sono viste anche in varie parti della Siria ed in particolare nel nord est, oltre che sui social network.

I fatti di Sweyda, intanto, hanno lasciato sul terreno oltre 800 vittime, accertate dalla Rete Siriana per i Diritti Umani che ancora non ha completato le verifiche. Vittime tra beduini delle tribù e drusi in buona parte civili, oltre a uomini dell’esercito e del governo di Damasco. La circolazione sulle strade principali che conducono all'area rimane limitata, restringendo il flusso di persone e merci verso una provincia che, in condizioni normali, farebbe affidamento sulle proprie infrastrutture economiche e produttive, piuttosto che sugli aiuti umanitari. A causa di questioni irrisolte e dell'impatto di interventi esterni, in particolare di Israele, gli accordi per consentire il pieno accesso umanitario non hanno ancora avuto successo.

Di conseguenza, persistono le difficoltà nell'assicurare beni essenziali per la città, con resoconti discordanti sulle cause di questi ritardi. C’è anche il rischio che la capitale possa soffrire di carenza d’acqua, visto che parte dell'approvvigionamento di Damasco proviene da zone controllate da milizie druse che hanno lasciato intendere che ostacoleranno le forniture se l'ingresso di merci a Sweyda non migliorerà per soddisfare le necessità della popolazione.

Si moltiplicano le manifestazioni in città, i sindacati locali hanno espresso con forza la loro protesta, come il sindacato degli insegnanti (link in arabo), mentre qualcuno ha annunciato la propria separazione dalla sede centrale di Damasco.

Un altro sintomo della tensione settaria che si fa spazio nel paese è l’aumento dei cosiddetti “omicidi di vendetta”, commessi dalle vittime dei tempi del regime che vanno a cercare le persone che le hanno perseguitate. Un fenomeno precedentemente sporadico. La sfiducia delle minoranze verso il governo centrale alimenta a sua volta la paura che il fallimento di questo governo possa significare quello dell’intero processo di transizione democratica e che queste minoranze potrebbero appoggiarsi a sponsor stranieri e creare una “alleanza delle minoranze” contro il governo centrale.

Tutto questo si traduce nella pratica comune del considerare “traditore” o agente di qualche potenza esterna chiunque critichi il governo, con altissimi livelli di aggressività nel dibattito pubblico.  Una aggressività che in qualche occasione si è vista anche nella diaspora, dove durante alcuni dei presidi in solidarietà con la popolazione di Sweyda si è assistito ad accesi scontri tra critici ed sostenitori delle autorità di Damasco.

Come detto, l’accusa di collaborazionismo con Israele è tra quelle più rivolte alle milizie di Hikmat al-Hajri, i cui sostenitori hanno più volte invocato la protezione di Tel Aviv ed hanno accolto i drusi israeliani che hanno sconfinato dalle alture del Golan occupate per combattere al loro fianco contro le milizie delle tribù.

Per estensione questa accusa investe l’intera comunità drusa, che pure aveva rifiutato energicamente le offerte di protezione da Israele, e chiunque solidarizzasse con la popolazione di Sweyda. La stessa accusa viene rivolta alle fazioni curde del nord est, nonostante il generale delle Syrian Democratic Forces (SDF) Mazloum Abdi abbia espresso una apertura al dialogo con Israele per “la pace e la stabilità nella regione” in termini non dissimili da quelli usati dal presidente ad interim Ahmad Al Sharaa.

Dopo la caduta di Bashar al-Assad, la Siria del nord est si trova al centro di una fase delicata e incerta. Il punto di svolta nelle relazioni tra l’ Amministrazione Autonoma Democratica (DAANES) e la nuova amministrazione centrale di Damasco è stato l’accordo firmato il 10 marzo, mentre avvenivano i massacri nella zona costiera, tra lo stesso comandante in capo delle SDF Mazloum Abdi ed il presidente siriano Ahmad Al Sharaa che prevedeva la piena integrazione amministrativa del nord est sotto l’autorità di Damasco, ma lasciava ampie questioni irrisolte.

Le prime riunioni ufficiali che hanno seguito l’accordo si sono focalizzate su questioni concrete come la gestione condivisa di alcuni servizi essenziali, la continuità nell’erogazione di acqua ed energia, il riconoscimento di titoli di studio, l’organizzazione di canali per il rientro delle persone sfollate e la creazione di meccanismi di coordinamento nelle aree miste di Aleppo e lungo i corridoi Manbij–Kobane–Raqqa.

La sicurezza viene trattata in canali separati, con un coordinamento locale volto a prevenire incidenti lungo le linee di contatto. Dal 10 marzo, le negoziazioni quindi restano finalizzati a stabilire “corridoi amministrativi” e garantire coesione in aree dove è in corso una fragile pacificazione, prima di affrontare temi istituzionali più controversi, tralasciando quindi per ora la questione dello status politico dell’autogoverno, il rapporto tra le forze di sicurezza locali e la catena di comando statale, la gestione delle entrate fiscali e dei valichi.

All’interno della popolazione del nord est, le aspettative sorte nei primi giorni di transizione si sono gradualmente trasformate in un atteggiamento di prudenza. In città come Qamishli e Hasakeh, così come nei centri minori e nelle campagne, si raccolgono voci di timori per la salvaguardia delle libertà politiche e sociali. Mentre in altre aree del paese la caduta di Assad ha portato ad un cambio sostanziale ed un generale miglioramento dei diritti, nelle aree governate dall’ Amministrazione Autonoma la vita delle persone comuni ha visto un impatto minore.

Le dichiarazioni raccolte raccontano di cittadinə che temono un’erosione progressiva dei diritti acquisiti se non verrà raggiunto un accordo politico più inclusivo nell’intero Paese.

Sul terreno continuano a verificarsi incidenti in alcune zone di contatto, in particolare intorno a Tell Abyad, Ain Issa, Manbij e Tel Tamr, con scambi di colpi d'arma da fuoco e attacchi aerei. Eventi che hanno occasionalmente danneggiato infrastrutture come centrali elettriche, la stazione di pompaggio di Alouk, la diga di Tishrin e le strade adiacenti, causando forti disagi alle comunità locali. I problemi legati alla stazione di pompaggio di Alouk derivano dalla mancanza di accordi formali tra le parti coinvolte e dalla limitatezza degli sforzi di coordinamento. I periodi di siccità hanno ulteriormente aggravato la carenza idrica, soprattutto in città importanti come Hasakeh. La situazione potrebbe peggiorare se non verranno raggiunte soluzioni immediate e sostenibili o se l’applicazione degli accordi e la riconciliazione tra l’ Amministrazione Autonoma e Damasco continueranno a tardare. La vulnerabilità del sistema idrico e i frequenti tagli di fornitura sono documentati dalla campagna Water for Hasakeh

Nel 2025, le linee di tendenza delineano un quadro complesso: il conflitto, pur ridotto d’intensità rispetto agli anni precedenti, mantiene un carattere intermittente e imprevedibile; le infrastrutture civili sono ancora vulnerabili sia agli attacchi diretti sia alla carenza di manutenzione; la gestione dell’acqua resta terreno di tensione strategica, dove l’accesso diventa strumento di pressione e elemento di negoziazione.

Se a livello nazionale troviamo situazioni differenti e diverse sensibilità rispetto al processo di transizione politica, la polarizzazione ha ristretto lo spazio di agibilità per la società civile siriana, tra accuse incrociate di tradimento, estremismo, collaborazionismo, separatismo ed un clima meno tollerante di quanto non fosse nei mesi scorsi, tuttavia organizzazioni e tantə cittadinə non si sono lasciatə intimidire.

Oltre alla citata proposte del Movimento degli studenti, già prima del cessate il fuoco, in vigore da due settimane, 57 organizzazioni della società civile con differenti background lanciavano un appello congiunto per la cessazione delle ostilità e la protezione dei civili.

La reazione allo scoramento generalizzato ed alla paura che la transizione fallisca è anche nei numerosi appelli che sono stati elaborati e nelle iniziative per la “salvezza nazionale”, in alcuni casi lanciate da alcuni degli stessi membri che erano stati scelti per prendere parte alla Conferenza sul Dialogo Nazionale indetta dalle autorità lo scorso febbraio. Persone scelte dallo stesso Al-Sharaa per essere parte del processo di transizione. (LINK in arabo)

Un altra iniziativa che è stata al centro del dibattito è quella lanciata nel centenario della grande rivolta siriana del 1925 contro il colonialismo francese che vide proprio nella zona drusa la sua scintilla e poi l’unirsi di tutte le comunità siriane per contrastare i progetti coloniali che prevedevano anche lo smembramento del Paese. Una ricorrenza dall’alto valore simbolico che è stata d’ispirazione per l’“iniziativa del centenario” (in arabo) che, tra le altre cose, propone una visione più elaborata delle altre su come riavviare il percorso della transizione democratica, al tempo stesso fortemente attaccata: intellettuali e oppositori politici che l’hanno redatta sono stati accusati di cercare un colpo di Stato e tradire il governo.

Anche il Movimento politico delle donne siriane ha elaborato una sua dichiarazione, oltre a chiedere l’immediato cessate il fuoco e la protezione di civili, l’accesso di merci ed aiuti a Sweyda, e denunciare la tolleranza mostrata dal governo per discorsi di incitamento settario, si uniscono al richiamo comune di un necessario ritorno alla ragione.

Ci sono punti che accomunano tutte queste iniziative e dichiarazioni: chiedono tutte a gran voce la ripresa e l’ampliamento della Conferenza per il Dialogo Nazionale, dopo quella promossa dalle autorità di Damasco e durata poche ore. Un processo che tenga  conto di tutte le componenti del popolo siriano ed abbia il tempo di affrontare le questioni fondamentali e quelle più spinose. Tutte ribadiscono l’impegno per l’unità nazionale e chiedono un cessate il fuoco su tutto il territorio nazionale, così come un credibile processo di giustizia transizionale e di riconciliazione nazionale.

L’idea è sempre quella di riportare sui binari il processo di transizione, con richieste rivolte quasi sempre direttamente ad Al Sharaa ed al suo governo, non appelli a sollevarsi contro le attuali istituzioni nonostante non manchino critiche durissime.

Simile nei contenuti, ma più dura nei toni e con molta più insistenza sul decentramento del potere a favore delle comunità locali, la dichiarazione finale  (resoconto in inglese) della conferenza per “L’Unità delle Comunità” tenutasi l’8 agosto nel nord est siriano e promossa dall’Amministrazione Autonoma, che ha visto la partecipazione di esponenti religiosi di varie “minoranze” ed i rappresentanti di alcune tribù arabe che più degli altri hanno sottolineato l’urgenza di integrare l’amministrazione locale con il governo centrale, pur condividendo l’impianto della dichiarazione.

La partecipazione di alcuni personaggi sospettati di simpatia per il vecchio regime e dello stesso Hikmat al-Hajri, in videoconferenza, hanno sollevato molto malumore e critiche anche da parte di esponenti della società civile, mentre il governo di Damasco minaccia di sospendere il vertice che si sarebbe dovuto tenere a Parigi per cercare una mediazione con l’Amministrazione Autonoma e le SDF. Una sospensione che farebbe felice la Turchia, che premeva per boicottarlo.

La Siria sperimenta un nuovo spazio pubblico, in cui le persone si sentono in diritto ed in dovere di esprimersi ma che ancora risente delle consolidate dinamiche di delegittimazione delle opinioni differenti, della mancanza di un senso di cittadinanza condiviso che lascia spazio ad altre lealtà geografiche o identitarie ed è gravato dalle paure ed i rancori derivanti dalla guerra, poco calmierati dagli sforzi di riconciliazione e per la giustizia transizionale che ci si aspettava all’indomani della caduta di Assad, ma che finora per le autorità transitorie sembrano essere in secondo piano rispetto agli sforzi per cercare legittimità internazionale e una reintegrazione nell’economia internazionale che consoliderebbe la posizione di Al Sharaa.

Nelle iniziative della società civile si accusa spesso il governo di essersi messo da solo al comando, con eccessivi poteri conferiti al Presidente e nessun controllo sul suo operato.

Anche la Commissione di inchiesta per i crimini della costa che a marzo hanno lasciato sul terreno oltre 1.400 vittime, in gran parte alawite, è stata formata con nomina presidenziale. La Commissione ha presentato i suoi risultati con grande ritardo e proprio nei giorni caldi in cui avvenivano i fatti di Sweyda, mostrando sì un rigido lavoro di documentazione che sostanzialmente coincide con le inchieste fatte da altre fonti, tuttavia stabilisce che le responsabilità per le violenze commesse non debbano ricadere sulla catena di comando, i cui ordini sarebbero stati corretti, scagionando di fatto le alte cariche governative e scaricando la responsabilità su militari di basso grado ed “indisciplinati”.

Nei rapporto non c’è traccia poi del fenomeno, ampiamente denunciato dalla società civile e di cui ha  chiesto conto anche l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani OHCHR: il rapimento delle donne della comunità alawita, una delle peggiori forme di persecuzione che sta subendo questa comunità. In merito a questo rapporto, c’è stato un appello congiunto delle più grandi organizzazioni siriane per i diritti umani che ne chiedono la pubblicazione integrale e garanzie rispetto ai meccanismi di persecuzione dei 298 individui indicati come sospetti da parte della Commissione. Il comunicato (in arabo) sottolinea come la giustizia transizionale e la pace sociale siano interdipendenti e fondamentali per costruire la fiducia tra governanti e governati e quindi dare legittimità alle autorità.

Dal canto suo la Procura generale ha dato il via ai primi procedimenti a danno di gerarchi del vecchio regime e nelle aree della costa sono attivati gli arresti di altri uomini legati agli Assad, attivi nell’organizzare attentati e con milizie direttamente o indirettamente sostenute dall’Iran e coordinate da Maher Al Assad, il sanguinario fratello del dittatore deposto. Il 7 agosto sono circolati i video in cui 4 altissimi papaveri del regime di Assad, tra cui il direttore del famigerato servizio segreto dell’aeronautica che gestiva i peggiori lager del vecchio regime ed l’ex Gran Mufti Hassoun, il leader spirituale sunnita appuntato dal vecchio regime e destituito dalle attuali autorità che ne è stato uno dei più grandi propagandisti al soldo di Bashar Al Assad, ora spogliati delle uniformi e delle vesti lussuose per sentir leggere i capi di accusa a loro carico indossando la divisa da carcerati. I video hanno suscitato forti reazioni e soddisfazione, pur con qualche critica per l’umiliazione di prigionieri esposti al pubblico ludibrio dei social media.

Per ora le risposte delle autorità di Damasco alle spinte della società civile sono limitate ed indirette, sempre esprimendo una mentalità dirigista per cui anche quando il governo vuole fare un passo avanti distensivo lo fa prendendo l’iniziativa da solo e senza rendere partecipe nessuno, spesso dando l’impressione di voler più dimostrare la propria buona fede ed affidabilità a vecchi e nuovi alleati stranieri piuttosto che convincere la popolazione siriana. Ad esempio, nelle ultime settimane molte voci si sono levate per denunciare le fake news ed i discorsi d’odio, quindi il Ministro della Giustizia ha dichiarato che sarebbe necessaria una legge specifica contro l’incitamento ed il discorso d’odio, senza però dare seguito alla dichiarazione o fare affidamento a giuristə ed espertə, che pure in Siria e nelle organizzazioni della società civile non mancano ed hanno studiato approfonditamente questi fenomeni.

La vita politica si vive nelle strade e nelle case, sui social, ma ancora in Siria non è nato uno spazio di cittadinanza attiva, non è stata fatta una legge sui partiti politici o una che regoli l’associazionismo, mentre le commissioni elettorali stanno già finendo i preparativi per le prime elezioni parlamentari, previste per la seconda metà di settembre. Il primo Parlamento eletto avrà il compito di guidare la fase costituente e sarà composto da 140 membri eletti e 70 nominati dalla Presidenza della Repubblica. Tuttavia l’impossibilità di votare per le milioni di persone siriane all’estero, insieme ai dati demografici alla base dei conti sui seggi, precedenti alla guerra, destano preoccupazione rispetto alla credibilità di un parlamento che dovrà rappresentare il potere legislativo in questa fase critica della durata annunciata di 30 mesi.

Nel meccanismo elettorale previsto dalle autorità di Damasco c’è il tentativo di introdurre misure che compensano le oggettive mancanze di infrastrutture democratiche, tuttavia anche in questo caso sono in gran parte affidate ad interventi presidenziali. Le elezioni si vorrebbero tenere sull’intero territorio nazionale, ma qualora in alcune aree (come quelle controllate dall’Amministrazione Autonoma Democratiche nel nord est o quelle Druse a Sweyda) non fosse possibile svolgere regolarmente le elezioni l’indicazione è quella di provare a dare comunque rappresentanza alla popolazione in modo indiretto attraverso notabili o dignitari locali. Una soluzione che difficilmente potrebbe soddisfare le comunità interessate e che rispecchia ancora una volta un approccio al dialogo che da parte delle autorità di Damasco è sempre passato attraverso il contatto con leader religiosi o comunitari, ricalcando in qualche modo le spaccature settarie nel tentativo dichiarato di ricucirle, anziché un dialogo genuino con la società civile e le comunità stesse che spesso in questi 14 anni si sono dotate di consigli locali o hanno vissuto esperienze interessanti di autogoverno, non solo nel nord est o nelle aree druse.

Fouad Roueiha - Comitato Nazionale di Un Ponte Per  


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