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ACQUA PER GAZA. COSA STIAMO FACENDO

30 Giu 2025

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La cosa più emozionante per noi è sapere che le donazioni che state raccogliendo arrivano direttamente dalle persone per le persone. Quando facciamo le distribuzioni di aiuti lo spieghiamo alle famiglie: tutto questo è reso possibile da raccolte fondi fatte per strada in Italia, in cui ogni persona dona ciò che può. E questo la gente lo capisce molto bene”.

Quando riusciamo a parlare al telefono con il nostro collega Saad, dopo giorni di continue interruzioni della rete che hanno reso difficile avere aggiornamenti, lui stesso è in fila per una tanica d’acqua. Nella Striscia di Gaza, oggi, non esiste una sola persona che non necessiti aiuto immediato e non si trovi sull’orlo della fame. Eppure, nonostante l’inazione dei governi, nonostante l’impunità garantita a Israele dalle complicità occidentali, l’aiuto dal basso ricorda alle persone di Gaza che non sono state completamente abbandonate.

E’ quello che ci raccontano lə colleghə di UAWC – l’Union of Agricultural Work Committees –, l’organizzazione palestinese con cui, dall’inizio di questo genocidio, noi di Un Ponte Per abbiamo costruito un’alleanza per poter portare un minimo di sollievo alla popolazione colpita.

Una scelta, la nostra, che non è stata casuale: UAWC è un’organizzazione popolare nata negli anni della prima Intifada, che da allora lavora dal basso non solo durante le emergenze umanitarie, ma anche – e soprattutto – per garantire sovranità alimentare alla popolazione palestinese, costretta alla dipendenza da aiuti esterni a causa del colonialismo d’insediamento israeliano.

Dalla rottura da parte di Israele dell’accordo per il cessate il fuoco, nel marzo scorso, a Gaza non è entrato quasi niente. La ripresa dei bombardamenti, con un’intensità senza precedenti, ha distrutto ciò che rimaneva delle infrastrutture civili, lasciando tutti gli ospedali impossibilitati a fornire cure.

Secondo le stime di UAWC, due terzi della Striscia di Gaza sono stati identificati come “no-go zone” da parte delle forze armate israeliane: aree in cui è impedito l’accesso alla popolazione, confinata in spazi sempre più densamente popolati, senza accesso agli aiuti umanitari, e con il caldo estivo che sta rendendo ancora più grave la scarsità di acqua pulita e potabile.

Se il 95% della popolazione è a rischio di vita per mancanza di cure, cibo e acqua, si stima che il 100% sia sull’orlo della fame”, ci spiegano lə colleghə da Gaza. Inoltre, il continuo sfollamento e la rapidità con cui le persone sono costrette a spostarsi per sopravvivere e trovare riparo rende difficile anche distribuire gli aiuti che riusciamo a garantire con la campagna “Aqua per Gaza”.

Le ultime distribuzioni, realizzate tra la primavera e l’estate, sono state fatte spesso di notte e sotto il tiro dei cecchini israeliani. L’istituzione del “Gaza Humanitarian Fund” (GHI) ha ulteriormente aggravato la situazione.

E’ un’operazione violentissima che mira a rompere anche ciò che resta dei legami sociali e della solidarietà tra la popolazione, perché la gente si uccide letteralmente per un sacco di farina”, ci spiegano da Gaza.

L’iniziativa, a guida statunitense e israeliana, snatura completamente il principio di sostegno umanitario, creando un pericolosissimo precedente nella gestione delle crisi. “Il cibo e gli aiuti sono stati resi un’arma e militarizzati”, ci dicono. Come hanno dimostrato le immagini disumane che sono circolate in queste settimane, con migliaia di persone chiuse in gabbia e bombardate mentre erano in fila per una tanica d’acqua o un sacco di farina. L’immobilismo della comunità internazionale di fronte a tutto questo dimostra che l’impunità dinanzi a un genocidio “è la nuova normalità a cui dobbiamo abituarci”, riflettono lə colleghə.

Eppure, la popolazione palestinese di Gaza non si arrende. Io credo che l’ottimismo e la speranza, oggi, siano gesti rivoluzionari”, riflette Sharif, il nostro collega orginario di Beit Hanoun, che oggi lavora con noi in Italia alla campagna “Acqua per Gaza”.

In questi anni abbiamo subìto talmente tanto, tra l’assedio prolungato e le continue aggressioni militari israeliane, che a Gaza abbiamo imparato a trovare sempre un modo per risolvere la situazione, anche quando tutto sembra precipitare. Non so spiegare come facciamo, ma troviamo sempre un modo per fronteggiare anche le condizioni peggiori. Adesso, ad esempio, a Gaza non c’è più carburante. Le persone stanno bruciando la plastica e riescono a far andare le automobili così. Accanto a ogni tenda in ogni accampamento, le donne hanno ricavato un pezzetto di terra per coltivare qualcosa. Ci rifiutiamo di morire in silenzio. La gente di Gaza non si arrende”.

E’ così che, probabilmente, anche lə colleghə di UAWC riescono ad aiutare la popolazione con le generose donazioni che arrivano da chi ci segue e ci sostiene in Italia. Nonostante sia difficilissimo trovare del cibo in questo momento perché, come ci spiegano, “i mercati sono stati completamente svuotati, e a causa del blocco degli aiuti reperire cibo è sempre più difficile”.

Nonostante questo, UAWC riesce ancora a fare riferimento a piccoli produttori e agricoltori che non applicano commissioni alla vendita dei prodotti che coltivano.

E’ così che, a fine maggio, siamo riuscitə a raggiungere altre 2.000 persone con cesti alimentari composti prevalentemente di frutta e verdura – cetrioli, pomodori, meloni - , acquistati sul mercato locale a prezzi quanto più possibile ragionevoli.

Un lavoro come sempre reso possibile dalla straordinaria rete di comitati locali e persone volontarie che UAWC ha creato negli anni a Gaza. E che viene puntualmente rendicontata e documentata con video e foto, nonostante le condizioni disumane in cui operano i nostri partner.

Per le distribuzioni degli aiuti, poi, ci si affida ormai all’udito. “Ci regoliamo in base all’intensità dei bombardamenti israeliani. Se per alcuni giorni sono particolarmente violenti ci fermiamo. Quando rallentano, cerchiamo di capire quanto durerà e stabilire dove riusciremo ad arrivare con le distribuzioni”, spiega Saad. Sempre e comunque, però, rischiando la propria vita per aiutare la propria gente.

Grazie a questo coraggio, in primavera siamo riuscitə a raggiungere con distribuzioni di acqua altre 500 famiglie. Da quando la campagna “Acqua per Gaza” è stata lanciata, le donazioni di chi ci sostiene ci hanno permesso così di raggiungere oltre 50mila persone.

Abbiamo potuto distribuire cibo e acqua, riparare alcune cisterne danneggiate dai bombardamenti, installare bagni nei campi per persone sfollate, riparare le tende durante il periodo invernale. In ognuno di questi casi, ci siamo affidatə alle valutazioni di UAWC, inviando quanto raccolto dalle donazioni in Italia, e lasciando che fossero loro a decidere su cosa fosse più urgente intervenire.

Una pratica in linea con la nostra visione dell’alleanza nei territori in cui operiamo: non sovra-determinare, ma ascoltare le necessità e rispondere come possibile. Quanto fatto in questi mesi resta una goccia nell’oceano di necessità che oggi fronteggia la Striscia di Gaza, ma è comunque il segnale che le persone – diversamente dai governi – sanno benissimo da che parte stare.  

“Esiste il genere umano. E poi esistono le persone gazawi”, sorride Sharif. "Anche di fronte a condizioni inimmaginabili, anche in mezzo a un genocidio, noi ci rifiutiamo di mollare. Non ci arrendiamo. La realtà che stiamo attraversando non ha precedenti nel mondo che conosciamo. Eppure, continuiamo a sperare”.

Ogni donazione, anche piccola, può fare la differenza. Il genocidio non è finito. Dona ora e aiutaci a portare aiuti alla popolazione palestinese >>


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