I giovani movimenti e le elezioni in Iraq: dalla piazza di Nassiriya al parlamento
Le elezioni anticipate irachene dello scorso 10 ottobre hanno aperto una nuova fase della storia politica del Paese, una fase in cui movimenti alternativi emergono e sfidano i partiti tradizionali, sempre al governo dal 2003 sulla base delle “quote settarie”. Nonostante le speranze, rimangono alte le tensioni nel Paese.
L’analisi di Ismaeel Dawood, Civil Society Desk Officer di Un Ponte Per
“Entreremo nella Zona Verde e attraverseremo a piedi il ponte Al-Jumhuriya, nel ricordo dei martiri della rivolta di ottobre 2019”. Con queste parole i vincitori del nuovo movimento IMTIDAD hanno festeggiato la straordinaria conquista di nove seggi alle elezioni anticipate in Iraq.
I risultati elettorali indicano che su un totale di 329 seggi del parlamento iracheno, i/le candidati/e indipendenti provenienti dalla società civile hanno ottenuto 40 seggi: di cui 9 seggi per il Movimento “Nuova Generazione” (Sulaimaniyah), 6 seggi “Ishraqat Kanon”, oltre ai 9 seggi del movimento IMTIDAD. Per quanto parliamo di piccoli numeri, si tratta di un segnale di cambiamento notevole nel percorso politico dell’Iraq: nonostante le forze tradizionali siano ancora maggioritarie, la percentuale di nuovi membri (entrati per la prima volta in parlamento) è il 70% del totale.
Per comprendere questa trasformazione e identificare le radici dei movimenti politici alternativi, dobbiamo tornare alla protesta popolare nonviolenta partita nel 2011, e che si è ripetuta negli anni successivi culminando nella rivolta dell’ottobre 2019: quando i giovani iracheni/e hanno chiesto la fine della corruzione ed espresso il loro rifiuto del sistema delle quote politiche distribuite su base settaria che ha segnato il governo in Iraq negli ultimi due decenni.
La rivolta di ottobre si è diffusa rapidamente, ottenendo un consenso nazionale dal nord al sud dell’Iraq, attivando donne, studenti e i più vari movimenti sociali. La mobilitazione ha costretto il governo di Adel Abdul-Mahdi a dimettersi, la classe politica al potere a modificare la legge elettorale e a indire elezioni parlamentari anticipate.
Nonostante la grande repressione affrontata dal movimento di protesta, che ha portato alla morte circa 650 attiviste/i e manifestanti; nonostante le minacce e i rapimenti che hanno preso di mira i/le giovani del movimento, le proteste sono continuate fino al 2020. Solo la pandemia, che ha cambiato gli equilibri in tutto il mondo, ne ha fermato l’incedere. È dunque interessante notare come i maggiori perdenti nelle elezioni del 2021 (Al-Fatah e Wa’i) siano proprio i partiti che rappresentano le fazioni armate vicine all’Iran: coloro che più hanno guidato la repressione delle proteste di ottobre. Queste fazioni basavano il proprio consenso principalmente sull’opinione pubblica nel sud dell’Iraq e sul ruolo svolto nella lotta contro Daesh. Oggi però il risultato è chiaro: il loro credito nel sud dell’Iraq è diminuito drasticamente proprio a causa della loro ostilità al movimento di protesta giovanile e del loro coinvolgimento nel vasto sistema di corruzione.
Nell’aprile del 2019, poco prima dell’inizio della rivolta di ottobre, i movimenti sociali e le organizzazioni della società civile irachena tennero un incontro nazionale, primo del suo genere nella città di Nassiriya, per scambiare esperienze e condividere programmi. Io ero presente, e ho assistito a uno degli incontri di maggior successo avvenuti tra i rappresentanti dei movimenti sociali e della società civile.
L’incontro di Nassiriya ha visto importanti discussioni sulle sorti del movimento di protesta, le libertà fondamentali, l’ambiente, i diritti delle donne, la protezione del patrimonio culturale, la tutela dei diritti sociali ed economici. Il comitato organizzatore dei giovani e delle giovani di Nassiriya era caratterizzato da un grande entusiasmo determinato a creare una realtà migliore per la loro città e il loro paese. Tra loro c’erano coloro che avevano partecipato alle attività del Festival I Love Dhi Qar: l’evento civile più importante organizzato dai movimenti sociali dal 2017; altri avevano inoltre partecipato attivamente al Forum sociale iracheno e all’Iniziativa di Solidarietà con la Società Civile Irachena (ICSSI).
Queste ragazze e questi ragazzi erano proprio coloro che avevano organizzato la rivolta di Tishreen (di ottobre) e le proteste avvenute in piazza Al-Haboubi a Nassiriya. Sono loro a rappresentare il lievito vivente del futuro dell’Iraq: le loro idee sono in grado di alimentare il motore del cambiamento sociale, e la loro attività ci mostra una società irachena viva e volenterosa di generare un futuro migliore per l’Iraq e il suo popolo. Una società irachena in cui i movimenti civili e sociali continuano a operare in condizioni estremamente difficili e pericolose legate anche all’ardente confronto regionale tra Iran e Stati Uniti, che si sta consumando proprio sul territorio iracheno, come ha reso evidente l’assassinio del generale iraniano Qassem Soleimani.
Nel caso di Nassiriya queste sfide di moltiplicano, poiché si tratta di una città abbandonata dal punto di vista istituzionale, pervasa da una corruzione diffusa, in cui le/i giovani attiviste/i sono continuamente a confronto con un ambiente conservatore dominato dai rapporti tra clan e le famiglie con più potere. Ciononostante, ragazzi/e hanno partecipato attivamente alla rivolta di ottobre, pagando un prezzo altissimo: Nassiriya è infatti seconda solo a Baghdad, per numero di manifestanti rimasti uccisi/e.
Dopo aver assistito a tali uccisioni, la rabbia sociale è esplosa nella città: gli/le abitanti sono insorte/i contro le sedi dei partiti politici, dichiarando la città chiusa all’attività di questi ultimi e delle loro fazioni armate.
Veniamo quindi alle elezioni anticipate del 2021, le quinte in Iraq dal 2003. Nonostante i timori e le preoccupazioni, il 10 ottobre le elezioni si sono svolte senza gravi violazioni. Tuttavia, questo risultato positivo va controbilanciato con le restrizioni dei diritti politici e civili vissute dai candidati/e indipendenti a monte della loro partecipazione elettorale e con il tasso di partecipazione elettorale più basso dal 2005: la riluttanza di iracheni/e a recarsi al voto è dovuta alla perdita di fiducia in un sistema politico caratterizzato da violenze diffuse e basato sulla divisione settaria degli iracheni tra sunniti, sciiti e curdi – forze che basano il sistema di governo su alleanze di convenienza, spartendo i propri interessi spesso a danno delle necessità reali del Paese. Tali forze tradizionali continuano a controllare ampie fette di risorse territoriali, mentre le forze armate ad esse più o meno legate puntano verso un’integrazione nell’apparato dello stato, per lo più attraverso la “Mobilitazione Popolare”: un apparato militare ‘eccezionale’, istituito dall’autorità sciita di Najaf con l’obiettivo di combattere Daesh, che tuttavia in seguito alla “liberazione” ha continuato a conservare vaste aree di potere. Da tali condizioni deriva il gran numero di persone che ha deciso di boicottare la partecipazione elettorale, comprese alcune forze politiche alternative, sia di nuova generazione, sia più consolidate come ad esempio il Partito Comunista Iracheno. Il ritiro di queste ultime però può aver finito per incrementare la confusione, togliendo spazio all’opportunità di offrire al pubblico iracheno un’alternativa e una visione diversa del futuro.
È bene quindi osservare che nonostante l’ampio boicottaggio politico, le forze legate ai movimenti alternativi siano emerse portando anche alla vittoria elettorale giovani e donne. È il caso del movimento IMTIDAD (“Estensione”): nato proprio nel sud dell’Iraq, nella piazza Al Haboubi di Nassiriya, nel grembo delle proteste di ottobre. Nassiriya si riconferma un’antica città ancora fiorente, almeno culturalmente: nonostante la sua marginalizzazione e lo stato generalizzato di abbandono, da tempo immemorabile costituisce bacino di emersione di personalità politiche, letterarie e culturali storiche del Paese.
La marcia ora continua. Dopo l’annuncio dei risultati preliminari, i partiti perdenti hanno rifiutato di riconoscere le elezioni e a loro volta hanno organizzato sit-in minacciando di rovesciare l’attuale governo se i risultati delle elezioni non verranno annullati o i voti sottoposti ad un nuovo conteggio manuale. Queste forze appaiono mirate a fare pressione sui vincitori, allo scopo di inserirsi nelle quote di potere, riconfermando di fatto il sistema basato sul consenso confessionale. Tenuto conto di queste considerazioni, ritengo che possano emergere i seguenti scenari futuri:
Nel primo scenario, avviene la formazione di un governo politico di maggioranza, guidato dal movimento Sadrista, in alleanza con Tagadum e il Partito Democratico del Kurdistan. In tal modo, il resto delle forze si rivolgerebbe all’opposizione, costituendosi le premesse per una svolta importante al fine di terminare lo stato di corruzione consociativa tra i blocchi politici. Potrebbe aprirsi una nuova era basata sulla maggioranza politica, una delle maggiori rivendicazioni della rivolta di ottobre.
Nel secondo scenario, si forma un governo basato sul consenso settario e l’accordo tra le forze tradizionali, una soluzione verso cui sta spingendo l’Iran e le milizie armate ad esso vicine. In questo caso è più facile che le rivendicazioni delle proteste vengano mortificate.
In entrambi i casi, i nuovi movimenti alternativi affrontano un compito difficile, che consiste nel formare un’alleanza che rappresenti gli ideali di ottobre. Anche se non direttamente al governo, questa alleanza potrebbe contribuire a formare e consolidare nuove politiche nazionali rappresentative delle richieste del movimento giovanile.
È quindi responsabilità dei movimenti civili e sociali coordinarsi e comunicare con le correnti di Tishreen (di ottobre), dall’interno e all’esterno del Parlamento, per mantenere lo slancio delle riforme politiche e sociali e proseguire il lungo processo di cambiamento. Qualsiasi sarà la direzione presa da IMTIDAD e da i nuovi movimenti politici, rimarrà alla storia l’impegno dei giovani di Nassiriyah: un punto di riferimento per la resistenza civile non violenta, in un contesto di estrema difficoltà, che ha avuto la capacità di mantenere la propria adesione al cambiamento, nonostante i costi umani altissimi.