Mosul: per fare la pace ci vuole un arco
A febbraio abbiamo inaugurato il nostro nuovo Centro giovanile a Mosul, grazie al contributo dei sostenitori e delle sostenitrici che hanno scelto di donare e partecipare alla nostra Campagna di Natale “Ogni dopoguerra ha bisogno di alleati”, per dare una possibilità alla pace. Anche in Iraq. Già dal 2011 operavamo nell’area vicina a Mosul con progetti educativi e a tutela delle minoranze. Quando le aree occupate da Daesh sono state liberate, nel febbraio del 2017, siamo tornati/e chiedendoci cosa sarebbe successo a quelle persone dopo la guerra. Mosul, dove l’occupazione è durata 3 anni, oggi è una città simbolo di come la guerra generi conflitto civile, emarginazione, odio, oltre al sospetto che chiunque sia rimasto in città possa essere stato affiliato a Daesh. Per questo abbiamo avviato attività che promuovono la coesione sociale, sostenendo ragazzi e ragazze che hanno voglia e diritto di riprendere in mano il proprio futuro.
E per questo abbiamo appena aperto un Centro giovanile a Mosul. Fahad, Abdullah, Younis, Ahmed, Rafal, Ahmed e Ahed sono i/le primi/e operatori e operatrici del Centro, formati nella prevenzione dei conflitti sociali. Una delle prime iniziative che hanno organizzato è stata la promozione del dialogo tra giovani arabi/e sunniti/e di Mosul e giovani della minoranza shebak, da tempo in conflitto. Come ci racconta Martina Pignatti, la nostra Peacebuilding Officer, nell’articolo che segue. Insieme, siamo i loro miglior alleati. Continuiamo a camminare al loro fianco. |
Nella città vecchia di Mosul, quando un giovane della famiglia si sposava il padre spesso chiedeva ai vicini dall’altra parte della strada se potevano “prestargli una spalla”. Poi costruiva un arco, “qantara” tra le due case, e sopra l’arco le nuove stanze per i figli e i nipoti.
Per questo due giovani attivisti di Mosul, nel marzo 2018, hanno deciso di chiamare Qantara il primo caffè culturale della città, ispirato a quelli di Baghdad, in cui poter organizzare eventi, esposizioni d’arte, dibattiti, vendita di oggetti prodotti da artisti locali.
Un luogo per la rinascita culturale e politica dei giovani, in attesa che le istituzioni e la comunità internazionale inizino a ricostruire gli archi e le case di Mosul Ovest, ancora rasa al suolo.
Noi abbiamo deciso di aprire proprio qui il nostro “Youth Space for Peace”, uno dei Centri giovanili del nostro programma di peacebuilding finanziato dal Ministero tedesco della Cooperazione tramite GIZ e sostenuti dai fondi della Campagna di Natale 2018. Paghiamo l’affitto e le spese, riorganizziamo lo spazio e sosteniamo nuove attività.
Entrando una mattina dalle ripide scale, in cui sono appesi ritratti di artisti, intellettuali e attivisti politici iracheni, arriviamo in un ambiente accogliente decorato da tappeti e quadri della tradizione locale. Un giornalista famoso per i suoi articoli sui diritti umani siede in un angolo a scrivere, con computer e caffè, mentre un capannello di giovani poeti sta programmando il prossimo reading, tra due file di divanetti.
Ma non è possibile dedicarsi al nuovo senza conservare la memoria della sofferenza che ha attraversato la città, quindi una parete è dedicata al “Memoriale di Daesh” con foto della città occupata, una copia della rivista che i fondamentalisti distribuivano in città, la tuta gialla per i condannati a morte.
Tra la biblioteca del Centro, che riforniremo con libri su peacebuilding e diritti umani, e una bacheca dove sono in vendita gioielli e borse fatte da artigiani locali, c’è la porta di un ufficio dove lavora un team di 7 ragazze/i di Un Ponte Per… Si tratta del nostro “Conflict Prevention Team” di operatori e operatrici formate/i per la trasformazione nonviolenta dei conflitti.
Qui a febbraio hanno iniziato ad organizzare le prime attività, come un dialogo tra giovani arabi/e sunniti/e di Mosul e giovani della minoranza shebak dai villaggi circostanti, per concordare una strategia atta a riavvicinare le rispettive comunità.
Leila, la coordinatrice, ha un master in architettura del patrimonio culturale e una passione per la storia antica come traccia comune che unisce le comunità e le culture irachene.
Fahad e Abdullah usano i social media per lottare contro i pregiudizi e la discriminazione tra etnie, per incoraggiare le persone sfollate a tornare, e spiegare al mondo che i giovani e le giovani di Mosul non sono tutti di Daesh… sembra un’ovvietà ma è proprio in base a questo pregiudizio che l’esercito iracheno e quello americano hanno deciso di radere al suolo mezza città e causare circa 10.000 vittime civili, pur di non lasciare vie di fuga a Daesh.
Younis è il fondatore di questo caffè culturale, ma lavora in una tenda in mezzo alle macerie della città vecchia per raccogliere le lamentele della popolazione.
Ahmed è uno psicologo che studia come prevenire le minacce contro i funzionari locali.
Rafal è una formatrice sulle “alternative alla violenza”.
Ahed è un’esperta di prevenzione della violenza di genere e lavora come allenatrice di una squadra di calcetto. Sì, una squadra di calcetto femminile, a Mosul.
Ahmed insegna scienze dell’educazione e lavora per un’istituzione pubblica a sostegno delle moschee nel sud-est della città.
Tutti e tutte loro lavorano part-time come operatori e operatrici di pace del nostro Centro giovanile. Metà di loro è rimasta in città durante l’occupazione di Daesh, chi perché non è riuscito a scappare, chi perché voleva dare una mano alla popolazione. C’è chi ha perso la prima giovanissima figlia in quegli anni, chi ha vissuto per mesi nascosto in uno scantinato, chi è sopravvissuto alla prigionia da parte di Daesh, chi ha mezzo viso deturpato da un’esplosione.
Ma sorridono, hanno un’energia contagiosa, e più idee di quante ne possiamo annotare sul nostro quaderno, per le prossime attività.
Nella Piana di Ninive, ora liberata da Daesh, abbiamo aperto altri tre Centri giovanili oltre a quello di Mosul. Ognuno di questi ha il suo Conflict Prevention Team, 19 giovani impegnati/e in attività coordinate. Gli incontri continueranno e avranno come obiettivo quello di scambiarsi esperienze, metodologie e attività sulla coesione sociale. A breve tutto ciò culminerà in un Forum sulla Pace che si terrà a Mosul a giugno, e che sarà l’occasione per un confronto tra autorità locali, rappresentanti di comunità, attivisti/e, giornalisti/e e ovviamente i ragazzi e le ragazze dei nostri Centri Giovanili su un obiettivo ambizioso e necessario: come andare oltre la paura che ostacola i rapporti tra le diverse comunità che vivono oggi in Iraq e come immaginare percorsi di convivenza pacifica.
Li/e seguiremo a partire da oggi, con la sensazione che sulla volta di questo arco si possano costruire tante storie di nuova vita a Mosul.
Martina Pignatti Morano, Peacebuilding Officer di Un Ponte Per…